Castiglione Falletto, 8 dicembre 1958
Le ragioni che portarono Arnaldo Rivera ad immaginare un progetto di cantina cooperativa a Barolo sono legate alla sua profonda conoscenza delle peculiarità del territorio e della sua gente, unita a grande lungimiranza e volontà di giustizia sociale.
In un suo discorso del 1983 durante la celebrazione del venticinquesimo anniversario della Cantina Terre del Barolo, Arnaldo Rivera rilanciò con forza la visione che «un’entità sociale che agisca democraticamente ripartendo il reddito in rapporto alla partecipazione dei soci può essere un’idea vincente, abbattendo il pregiudizio che gli uomini siano destinati a essere armati gli uni contro gli altri in nome del privilegio e dell’egoismo individuale».
Rivera fu uomo del vino in prima linea: assunse ruoli e responsabilità in vari organismi, fino a ricoprire la carica di presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco (1980-1983) di cui Renato Ratti fu successore.
La sua opera più grande tuttavia fu la creazione della cantina Terre del Barolo, un capolavoro di solidarietà rurale, portata avanti con tenacia, superando ostilità e problemi, con la convinzione di una scelta indispensabile, dalla parte dei più deboli per reagire alle condizioni di subordinazione e difendere la loro dignità umana. Arnaldo Rivera, che non ebbe figli, in questo modo assunse la responsabilità indiretta di cinquecento famiglie, Soci viticoltori, con altrettanti bilanci da salvaguardare.
In tanti, dapprima diffidenti e sospettosi, aderirono. Rivera iniziò subito dal basso, andò nelle frazioni, dai parroci, dai messi comunali. Parlare di cooperazione a metà degli anni cinquanta era molto difficile, rappresentava una sfida, soprattutto nell’albese. Le vecchie cantine sociali attive all’inizio del secolo scorso in quasi tutti i paesi della Langa erano, per motivi diversi, scomparse.Quello del Barolo era un mercato stagnate, con un livello ancora bassissimo di esportazioni.
L’Italia nel frattempo era avviata verso la ricostruzione industriale, ancora qualche anno e sarebbe arrivato il miracolo economico, ma nella memoria delle famiglie contadine rimaneva vivo il ricordo dei terribili anni venti e dei molti tragici fallimenti legati al mondo rurale e vitivinicolo cuneese.
La compravendita dell’uva si svolgeva soprattutto ad Alba, in piazza Savona (oggi Piazza Michele Ferrero), luogo al tempo amaramente definito come “il mercato dei morti”. Qui il contadino, e in particolare il suo prodotto frutto di un anno di fatiche, non godeva di alcuna tutela. Le sorti erano in mano a mediatori e commercianti, speculatori senza scrupoli al soldo di alcuni grossi gruppi industriali. Come ricorda Gigi Rosso, produttore e amico di Rivera “l’uva veniva commercializzata in modo grottesco e medioevale senza alcun potere contrattuale da parte del contadino”; o ancora Bruno Giacosa in una sua Lectio Magistralis: “C’era il mercato delle uve in Alba, di cui io, come i tanti contadini che portavano lì le uve, non ho un bel ricordo, perché i mediatori aspettavano sempre fino all’ultimo momento prima di comprare, così i vignaioli erano costretti a vendere a qualsiasi prezzo pur di non riportarsi indietro il carro pieno.”
Fondamentale e rappresentativa fu anche la scelta della sede della cantina, nella parte bassa del comune di Castiglione Falletto, non per campanilismo, ma perché la località si trova alla confluenza delle strade che giungono dai paesi su cui ha la sua influenza l’azienda. Sono i comuni di Castiglione Falletto, Barolo, Grinzane Cavour, Serralunga d’Alba, Diano d’Alba, Monforte d’Alba, La Morra, Verduno, Novello, Roddi che formano il comprensorio del vino Barolo, per questo venne scelto il nome “Terre del Barolo”.
Oggi risulta difficile comprendere gli stati d’animo ed i sentimenti provati dai soci fondatori che in quell’anno, in quel momento particolare, tra enormi difficoltà e alterne speranze, riuscirono a porre le fondamenta e raccogliere i primi frutti di quell’esperienza.
La personalità, il carattere e la dote nelle relazioni umane di Rivera emergono in tutta la loro forza e priorità. Dai primi 22 soci si passò in pochi anni a quasi 500: Terre del Barolo era diventata una grande realtà per il territorio, capace di attutire l’impatto dello spopolamento di questo angolo di Piemonte verso i nuovi centri urbani industrializzati che si stavano sviluppando in tutto il nord Italia, ponendo altresì le basi per quel successo mondiale che il Barolo e le Langhe conoscono ormai da svariati decenni.
Il tempo ha dato a Rivera ampiamente ragione.